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La danza delle spade
 
 
Festa patronale di San Giorgio, particolare della danza delle spade, Peter Bruegel, 1559.

 
 
Festa patronale di San Giorgio, particolare della danza delle spade, Peter Bruegel, 1559.

 
 

Scrive Curt Sachs nel suo celebre studio sulla danza: “La danza della spada ha una sua precisa fisionomia nel folklore europeo: il periodo della sua maggiore fioritura si estende dal XIV al XVIII secolo. Prima di quest’epoca abbiamo nella tradizione una lacuna di considerevole estensione che giunge fino alle sue fonti nell’antica Roma. Nel secolo XIX la sua importanza si è affievolita a tal punto che, dopo il 1850, ne troviamo solo relitti”. (Sachs, 1933; trad. 1934:141).
Come ha sottolineato Pier Carlo Grimaldi “se osserviamo il calendario delle danze delle spade pare corretto sostenere che nella società tradizionale, prima che i riti costitutivi del tempo sacro si andassero sostituendo con quelli profani, il rito ricorreva soprattutto all’inizio dell’anno, in quel tempo protetto del carnevale che segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera”. (Grimaldi, 2001:17).

Un primo tentativo di ripartizione delle danze armate in Italia è stato condotto nel 1942 da Bianca Maria Galanti che le distingue in tre gruppi (danze a sfondo storico – tradizionale; danze a contenuto o a carattere religioso; danze a carattere vario). Nel 1955 Paolo Toschi nella sua opera Origini del teatro italiano propone una riorganizzazione di tale classificazione e suddivide le danze armate in quattro gruppi ( danze di carattere arcaico e spiccatamente agreste; danze di morte e resurrezione; danze del contrasto per la mano della sposa; danze sul motivo della lotta fra i Mori e i Cristiani).
Oggi gli specialisti, come osserva Tullio Telmon (2001), si sono attestati su di una distinzione fra tre tipi di danza delle spade: le “moresche”, le “danze a catena” e le “danze frontali”.



 
 

La "Moresca"

La “moresca” assai diffusa in tutta Italia tra il XV e il XVIII secolo prima che nei teatri e nelle corti veniva danzata dal popolo negli ultimi giorni di Carnevale, mimando un combattimento fra due schiere contrapposte armate di spade, al ritmo marziale di uno o più tamburi (Galanti, 1949). Gli elementi orientali dei costumi dei ballerini e il carattere guerriero della danza, hanno contribuito alla credenza che tali balli si ispirassero al conflitto tra cristiani e saraceni. Ma secondo Curt Sachs quest’ipotesi è confutabile per il fatto che si tratterebbe di un processo di storicizzazione che nel medioevo si è innescato su strutture legate ad arcaici riti agrari. La maggior parte degli studiosi è inoltre concorde sul fatto che la colorazione nera del viso sarebbe da attribuirsi al desiderio del danzatore di non farsi riconoscere dagli spiriti. .
Se la “moresca” fu molto diffusa in Italia, oggi ne troviamo traccia all’interno dei Maggi drammatici recitati nell’Apennino tosco- emiliano e nel Lazio meridionale dove è documentata la Moresca di Contigliano. In Dalmazia, nella sponda adriatica di fronte alla costa italiana si balla la moresca nelle isole di Curzola e Lagosta.


       
 

La Moresca adriatica

Nella moresca adriatica convivono il tema nuziale con il tema agonistico: anche se l’aspetto guerresco caratterizza lo spettacolo, la struttura narrativa si impernia sulla contesa fra il re dei turchi ed il re dei mori per il possesso della schiava Bula, vestita con abiti bianchi all’orientale. Anche nell’isola di Lagosta , come a Spalato e Zara , si svolgeva una danza simile.

 
 
 
La moresca di Curzola: inizio del combattimento, 1980.



 
    La Moresca di Contigliano 

Nell’Italia centrale oltre alla più famosa moresca di Contigliano (nel Lazio meridionale) sono stati segnalati da recenti ricerche altri balli armati provenienti dalla Sabina in provincia di Rieti, area originariamente agricola, che si iscrivono nel contesto carnevalesco e tendono così ad avvallare la teoria della connessione tra danze armate e rituali di fertilità (Castelli, 2001).
Nella Moresca di Contigliano si fronteggiano i guerrieri turchi dagli abiti variopinti contro i guerrieri cristiani in nero, entrambi armati di una lunga spada di legno con cui compongono figure di ballo.
 
  La moresca di Contigliano, Rieti, 1979, (foto R. Lorenzetti).

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    Il Tataratà di Casteltermini

In Sicilia è tuttora viva il tataratà di Casteltermini in provincia di Agrigento, che si celebra l’ultima domenica di maggio. I contendenti indossano un costume moresco (tunica bianca, capo inghirlandato) e combattono al ritmo dei tamburi con spade rette in entrambe le mani. La danza del tataratà non è però attribuibile alla tipologia della moresca perché i duellanti non rappresentano quell’alterità categoriale tipica di questi scontri armati. Anche in queste danze è possibile riscontrare un richiamo alla terra fornito dalle ghirlande sui copricapo (Telmon, 2001).

 
 
La danza armata del gruppo del tataratà, Casteltermini (Agrigento).


   
    La Ndrezzata di Buonopane

Nell’isola di Ischia troviamo l’ ndrezzata di Buonopane, che si balla il Lunedì di Pasqua, nella ricorrenza del santo patrono, San Giovanni Battista, il 24 giugno, ed in occasione della festa della Madonna della Porta, il 15 agosto. Ogni spadonaro impugna due spade : bastone lungo nella mano sinistra e “mazzarelli” (bastoni corti) nella mano destra. La danza culmina quando gli spadonari compongono la figura della rosa ed innalzano su di essa il caporale. Questi ultimi elementi uniti alla presenza di donne (impersonate da uomini) sembrano richiamare anch’esse a rituali di fertilità. In altri casi l’elevazione , richiamo alla terra, non è legato all’innalzamento fisico di un danzatore ma al lancio delle spade verso l’alto.

 
  La ndrezzata a Buonopane di Barano nell'isola di Ischia
(foto U.Vuoso).
     
 

Danze delle spade in Piemonte

 
  In Italia il maggior numero di danze delle spade è concentrato in Piemonte: in provincia di Torino si balla a Giaglione, a Venaus, a San Giorio di Susa e Fenestrelle, mentre nel cuneese si danza a Bagnasco e Castelletto Stura (a Bagnasco, Castelletto Stura e Fenestrelle la danza delle spade è chiamata Bal do Sabre).


 
 
"Danze a catena"

   
  A Bagnasco, Castelletto Stura e Fenestrelle possono essere ricondotte le “danze a catena”. In questa tipologia di danza non vi sono mai duelli e neppure allusioni ad essi. L’elemento peculiare della danza è la gravità e la continuità dei movimenti che conducono alla composizione di due figure principali : la “rosa” o “stella” e l’elevazione del capocoreuta. Gli studiosi tendono a leggere in queste azioni elementi di propiziazione per la rinascita del ciclo della vita.    
         
 
   
  Il Bal do sabre, ballo della sciabola, di Bagnasco rappresentato a Castelletto Stura. I danzatori eseguono un movimento particolare della catena.  
Il Bal do sabre di Fenestrelle rappresentato a Castelletto Stura. Particolare del sollevamento dell'Arlecchino.

 
   

"Danze frontali"

   
 
  Le danze di Venaus, di San Giorio e di Giaglione (quest’ultima studiata in profondità da Gian Luigi Bravo) possono essere invece ricondotte alle “danze frontali” che mantengono elementi sia della moresca sia delle “danze a catena”. Delle prime conservano una certa vivacità di movimenti e passi “saltellati”, mentre con le “danze a catena” hanno in comune una certa movenza di progressione quasi ininterrotta.
In queste danze il richiamo alla terra ci giunge dai variopinti colori dei fiori dei copricapo e dai lunghi nastri multicolori che ne discendono lungo le schiene degli spadonari, ma anche da alcuni movimenti: se infatti non ritroviamo l’innalzamento fisico di un danzatore assistiamo al lancio delle spade verso l’alto. Inoltre gli strumenti dell’etnolinguistica ci aiutano a comprendere le funzioni di alcuni movimenti degli spadonari : il riferimento all’atto della mietitura viene confermato da termini come pweizâ a Giaglione e küìa a Venaus , termini che nei patois locali significano “raccolta” (Telmon, 2001).
 
 

Venaus, 1990


 
 
   
  Gli spadonari di Giaglione si scambiano al volo le spade, 1996.  
San Giorio. Gli spadonari durante la rappresentazione, 1996.

 
 


Bibliografia

Boilès, C. L., voce Danza, in Enciclopedia Einaudi, vol. IV, Torino, Einaudi, 1978, pp.363-375.

Bravo, G. L. , Spadonari e festa a Giaglione, in Bravo. G. L., (a cura di), Festa e lavoro nella montagna torinese e a Torino, Cuneo, Arciere, 1981.

Bonato, L., Tutti in festa. Antropologia della cerimonialità, Franco Angeli, Milano, 2006.

Castelli, F., Le danze armate in italia, in Grimaldi, P. (a cura di), Le spade della vita e della morte. Danze armate in Piemonte, Omega Edizioni, Torino, 2001.

Galanti, B. M., La danza della spada in Italia, Edizioni Italiane, Roma,1942.

Grimaldi, P., (a cura di), Le spade della vita e della morte. Danze armate in Piemonte, Omega Edizioni, Torino, 2001.

Sachs, C., Eine Weltgeschichte des Tanzes, Dietrich Reimer, Berlin, 1933 (trad.it. Storia della danza, Il Saggiatore, Milano, 1966).

Toschi, P., Le origini del teatro italiano, Boringhieri, Torino, 1955.

Telmon T., Appunti sulle danze di spade nelle Alpi Occidentali in Grimaldi, P., (a cura di), Le spade della vita e della morte. Danze armate in Piemonte, Omega Edizioni, Torino, 2001.

Le immagini sono tratte dal volume: Grimaldi, P., (a cura di), Le spade della vita e della morte. Danze armate in Piemonte, Omega Edizioni, Torino, 2001.

di Margherita Amateis